Cibo e sostenibilità, esercizi utili

Coltivare anche solo il 10% degli spazi verdi urbani potrebbe fornire al 15% dei cittadini le 5 porzioni quotidiane consigliate di frutta e verdura.

È questo uno dei dati sorprendenti che emerge da uno studio realizzato dall’Institute for Sustainable Food dell’Università di Sheffield. Partendo dall’analisi delle mappe di Ordnance Survey e Google Earth, i ricercatori hanno messo sotto la lente d’ingrandimento la città di Scheffield e hanno valutato tutte le aree che potevano essere adeguate alla pratica dell’orticoltura urbana. Ecco le evidenze.

Il verde – parchi, giardini, terreni, bordi di strade e boschi – occupa il 45% di Sheffield, una percentuale simile a quella di tante altre città del Regno Unito.

Di questa superficie gli spazi in affitto rappresentano l’1,3%, mentre il 38% è costituito da giardini domestici, che hanno un potenziale immediato per diventare terreni coltivati.

Nella città di Scheffield, sempre secondo lo studio, sfruttare le potenzialità di giardini domestici, terreni affittati e spazi verdi pubblici creerebbe per ogni persona una superficie di 98 metri quadri dedicata alla produzione di cibo. Vale a dire oltre quattro volte la superficie utilizzata attualmente per l’orticoltura commerciale nel Regno Unito (23 metri quadri a persona).

Se nella città il 100% di questo spazio fosse utilizzato per la coltivazione di frutta e verdure potrebbe alimentare circa 709.000 persone all’anno ovvero il 122% dei cittadini. Ma anche la conversione del solo più realistico 10% delle aree verdi disponibili potrebbe rifornire il 15% della popolazione locale – 87.375 persone – con frutta e verdura sufficienti. Un contributo importante visto che solo il 16% della frutta e il 53% delle verdure vendute nel Regno Unito sono coltivate sul territorio nazionale.

Lo studio ha anche valutato il potenziale dell’idroponica per coltivare senza suolo, ad esempio sui tetti della città. Queste tecniche consentono di coltivare prodotti tutto l’anno con requisiti minimi di illuminazione, le serre sono alimentate da energia rinnovabile e calore catturato dagli edifici, l’irrigazione viene fatta con la raccolta dell’acqua piovana.

I tetti utilizzabili nel solo centro di Scheffield, secondo i ricercatori, potrebbero arrivare a coprire una superficie di 32 ettari, che equivale a soli 0,5 metri quadri per persona, ma, considerando le rese, questa pratica di coltivazione rappresenterebbe indubbiamente una valida opportunità.

Il Regno Unito attualmente importa l’86% dei pomodori commercializzati, ma se solo il 10% dei tetti identificati nel centro di Sheffield fosse destinato alla loro coltivazione si potrebbe produrre una delle famose cinque razioni di frutta e verdura consigliate per più dell’8 per cento della popolazione. Se fossero utilizzati i tre quarti dei tetti adeguati dell’intera città questa percentuale salirebbe al 60 per cento. 

Ecco i commenti di due degli autori della studio.

Jill Edmondson, scienziato ambientale dell’Università di Sheffield: “Al momento, il Regno Unito è completamente dipendente da complesse catene di approvvigionamento internazionali per la stragrande maggioranza della frutta e per metà della verdura, ma il nostro studio indica chiaramente che c’è spazio più che sufficiente per far crescere ciò di cui abbiamo bisogno a portata di mano.”

Duncan Cameron, direttore dell’Institute for Sustainable Food dell’Università di Sheffield: “Ci vorranno significativi cambiamenti culturali e sociali per sviluppare l’enorme potenziale delle nostre città, e per questo è fondamentale che le autorità lavorino a stretto contatto con le comunità per trovare il giusto equilibrio tra spazi verdi e orticoltura. Ma con un’attenta gestione degli spazi e l’uso della tecnologia per creare le adeguate reti di distribuzione, potremmo assistere alla nascita di “città intelligenti” anche dal punto di vista alimentare, dove i coltivatori locali possono provvedere alle esigenze delle comunità producendo alimenti freschi e sostenibili”.

A prescindere dalle implicazioni politiche, i dati sono davvero importanti e fanno riflettere. Perché non valutare seriamente le potenzialità delle nostre città?

Una sintesi dello studio è stata pubblicata sulla rivista Nature.  

Alessandra Apicella

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