Foreste, un modello per pianificare in modo scientifico la loro conservazione

Le foreste sono i polmoni del nostro pianeta, conservarle, e ripristinarle, è il presupposto fondamentale per mitigare il riscaldamento globale.

Tuttavia, è difficile se non impossibile pianificare e coordinare gli sforzi a livello globale, per molteplici ragioni, ma anche perché le singole specie rispondono in modo diverso alle differenti minacce.   

Tobias Fremout, dottorando presso l’Università di Lovanio in Belgio, e Evert Thomas e Rachel Atkinson, scienziati dell’Alliance of Bioversity International and CIAT, hanno realizzato un nuovo modello che mappa le vulnerabilità. Questa soluzione è stata messa a punto per le specie tropicali della foresta del Perù nord-occidentale, ma potrebbe essere impiegata in tutto il mondo.

Il modello valuta in che modo le minacce antropogeniche – pascolo eccessivo, incendi boschivi, conversione dell’habitat – e i cambiamenti climatici influenzano 50 delle specie di alberi più comuni nella foresta del Perù nord-occidentale e dell’Ecuador meridionale.

Quasi la metà (46%) delle distribuzioni delle specie è risultata molto vulnerabile a una o più minacce e il pascolo eccessivo, la conversione dell’habitat e lo sfruttamento del territorio rappresentano un rischio maggiore rispetto alla minaccia incombente dei cambiamenti climatici. In altre parole, le nostre responsabilità sono evidenti e non ci si può permettere di temporeggiare, si deve intervenire immediatamente per proteggere e ripristinare le foreste.

Valutate le vulnerabilità delle specie, gli studiosi hanno proposto tre tipi di azioni di ripristino e conservazione mirate in funzione proprio di ogni singola specie:

1. conservazione in situ delle popolazioni di alberi e raccolta di sementi e piantagione di nuovi alberi in zone poco vulnerabili ai cambiamenti climatici e alle altre minacce,

2. conservazione o trasferimento ex situ delle popolazioni dalle aree molto vulnerabili ai cambiamenti climatici,

3. piantagione o rigenerazione assistita in aree soggette a minacce antropogeniche ma poco vulnerabili ai cambiamenti climatici, a condizione che vengano effettuati interventi per ridurre la pressione di quelle minacce.

Questo approccio è stato adottato per creare mappe d’azione prioritarie.

La metodologia di valutazione impiegata si basa sull’analisi della vulnerabilità e dunque dei tratti che caratterizzano la “sensibilità” di ogni singola specie, vale a dire come ogni diversa minaccia antropogenica ne condiziona la sopravvivenza e la riproduzione. Secondo gli studiosi, i modelli adottati fino ad oggi si basano sulle opinioni dei diversi esperti, dunque su valutazioni personali. Non solo, questo approccio è inadeguato per gli ecosistemi in cui sono davvero pochi gli esperti che conoscono bene la flora locale.

Fremout e gli scienziati hanno invece valutato la sensibilità delle specie basandosi su una serie di tratti rilevanti per le diverse minacce.  Ad esempio, hanno analizzato come lo spessore della corteccia e il tasso di crescita, tra gli altri tratti, influenzano la sensibilità dell’albero agli incendi boschivi, elementi in base ai quali si può prevedere la sensibilità di ogni singola specie al fuoco. L’insieme di questi tratti consente di dare un punteggio specifico sul livello di sensibilità a quella particolare minaccia, un calcolo che viene fatto per ogni altra tipologia di minaccia.

Secondo gli scienziati, questo metodo rende il modello trasparente, scalabile e quindi estendibile ad altri ecosistemi, a condizione che siano disponibili i dati spaziali e i tratti necessari. Il modello è stato impostato in modo flessibile e modulare proprio per poter includere altri fattori di minaccia o ulteriori tratti specifici rilevati in altre realtà locali.

Attualmente, il team sta lavorando per integrare queste mappe nello strumento online Diversity for Restoration (D4R) che è stato sviluppato per la foresta tropicale colombiana nel 2016. Dunque, ora chiunque sia interessato a piantare alberi nella foresta in Perù, Ecuador o Colombia potrà inserire le coordinate e gli obiettivi del proprio progetto sulla piattaforma D4R e ricevere raccomandazioni dettagliate su quali specie piantare e dove recuperare i semi, favorendo anche una maggiore diversità nella selezione delle specie.  Il nuovo lavora sarà anche integrato nel progetto Biodiversity Integration che raccoglie e aggiorna regolarmente la situazione in tutto il nord-ovest del Perù

Questo progetto è stato realizzato nell’ambito della più vasta iniziativa CGIAR Research Program on Forest, Trees and Agroforestry (FTA) , è stato supportato dal  CGIAR Trust Fund, dal VLIR-UOS, dal German Federal Ministry of Economic Cooperation and Development (BMZ) e dall’University of Leuven. Un sulla rivista Global Change Biology.

La foto è stata scattata nell’ambito dello studio da Tobias Fremout.

Alessandra Apicella

2 Comments
  1. si tratta di un argomento molto importante e molto interessante che troppo spesso viene trascurato perché sembra scarsamente “aderente” ai bisogni umani. Mentre invece la deforestazione è un fenomeno strettamente dipendente, direttamente o indirettamente, dall’uomo. Non solo cioè cambiamenti climatici indotti dalla CO2 immessa dall’uomo in atmosfera, ma anche un fattore importantissimo quale il cambio di destinazione d’uso delle aree verdi, un problema che tocca tutte le nazioni e su cui troppo poco si è fatto fino ad ora. Parliamo cioè di “sostenibilità” delle attività umane nel momento in cui vanno a trasformare aree verdi (a foresta o miste) in aree urbanizzate. Non si tratta di semplice sfruttamento economico (come nel caso della deforestazione per uso economico del legno) ma di una progressiva urbanizzazione e quindi “smantellamento” delle aree verdi a favore tecnicamente del sostentamento dei comunità umane più o meno locali. Purtroppo anche l’agricoltura partecipa in modo spesso devastante a questa azione. E l’opinione pubblica, se risulta sensibile alla deforestazione “economica”, è invece incline a trascurare e a tollerare il cambio di destinazione per espansione umana (urbanizzazione ed agricoltura intensiva). Personalmente sono molto pessimista in merito.

    1. Considerazioni molto realistiche. Penso che uno dei difetti dell’essere umano sia l’incapacità di pensare alle conseguenze globali delle sue azioni a prescindere dagli obiettivi a breve termine. Egoismo, individualismo, poco senso di responsabilità nei confronti di chi verrà dopo di noi?…anche se sono i nostri figli

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