Il viaggio inarrestabile delle microplastiche, anche dal campo alla tavola

Molti dei prodotti che usiamo sono commercializzati in contenitori di plastica e minuscoli frammenti di quei contenitori si fanno strada ovunque, dai prodotti per la cura della pelle al detersivo per il bucato. Quindi, quando ci laviamo le mani o detergiamo indumenti o oggetti quelle microplastiche entrano nei nostri sistemi idrici fino ad arrivare agli impianti dove le acque reflue vengono trattate per essere riutilizzate.

In questi impianti le microplastiche, i rifiuti organici e altri contaminanti vengono rimossi dalle acque reflue e da quel processo si ottengono i biosolidi che vengono anche impiegati come fertilizzanti. Un uso valutato positivamente perché offre un’alternativa economica ai fertilizzanti tradizionali e riduce la quantità di rifiuti che finiscono nelle discariche già sovraccaricate.

Un team di scienziati dell’Università della California Los Angeles ha voluto indagare sulla presenza di microplastiche nei biosolidi. Era prevedibile che una piccola quantità finisse in quei fertilizzanti, ma lo studio ha messo in luce che la concentrazione di microplastiche è superiore rispetto al previsto.

Il documento, pubblicato sulla rivista ACS ES&T Water, ha analizzato i risultati di 76 studi esistenti sul trattamento delle acque reflue condotti in 24 paesi e la percentuale di microplastiche rilevata è risultata superiore del 25 per cento rispetto alle aspettative.

“Puoi rilevare quando le microplastiche entrano negli impianti di trattamento, ma nel momento in cui il trattamento è stato effettuato non si riesce a intercettare e quantificare la loro presenza”, ha affermato Sanjay Mohanty, professore di ingegneria civile e ambientale e membro dell’UCLA Institute of the Environment and Sustainability.  “Dal momento che la maggior parte dei materiali plastici non sono prontamente biodegradabili, la nostra preoccupazione è che i biosolidi prodotti dagli impianti di trattamento contengono molti inquinanti che potrebbero attaccarsi alle microplastiche”.

Le microplastiche vengono rilasciate nell’ambiente anche attraverso processi industriali e quando i prodotti in plastica si disintegrano. Le particelle possono essere più piccole di 1 micrometro o grandi fino a 5 millimetri e possono assorbire metalli pesanti, tra cui cadmio, rame e zinco. Per questo le microplastiche potrebbero essere tossiche ad alte concentrazioni. “Dove va la plastica, vanno anche quegli inquinanti”, ha affermato Mohanty.

E poiché le particelle sono così piccole e leggere, ha detto Mohanty, è difficile ipotizzare come potrebbero disperdersi quando i biosolidi che le contengono sono usati come fertilizzanti per le colture, anche una leggera brezza potrebbe diffonderle in modi imprevedibili. E nel terreno, le microplastiche possono essere assorbite dalle radici delle piante.

“Tutto quello che sappiamo è che i biosolidi possono avere molte più microplastiche di quelle che abbiamo misurato in precedenza e potrebbero avere potenziali conseguenze indesiderate“. Secondo il ricercatore il problema principale non è la gestione delle acque reflue, ma la gestione dei biosolidi, ha detto Mohanty. “Se li incenerisci, tutta la plastica viene bruciata. Se li metti in una discarica, probabilmente la microplastica rimane intrappolata, ma se li applichi alle colture come fertilizzante, le microplastiche potrebbero essere rilasciate”.

La riflessione conclusiva di Mohanty: “Non sappiamo quali potrebbero essere le implicazioni della presenza di queste plastiche nei biosolidi. Sono lì da 50 anni. Non dobbiamo farci prendere dal panico; abbiamo solo bisogno di saperne di più”

Alessandra Apicella

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