Quanto ci fidiamo del cibo che mangiamo? I risultati di progetto di ricerca europeo

La pandemia non ha modificato il livello di fiducia dei consumatori, anzi la maggior parte di loro ha apprezzato la capacità della catena alimentare di fornire continuativamente cibo e in molti hanno interpretato le scene di panico da acquisto e l’accumulo di scorte alimentari come un comportamento fuori luogo.

In linea generale, i consumatori hanno più fiducia negli agricoltori/allevatori locali e indipendenti, soprattutto i piccoli produttori, e per la ristorazione i criteri di valutazione sono analoghi, la preferenza è per le attività di piccole dimensioni, soprattutto locali.

Ma cosa chiedono di più i consumatori e quali sono le priorità? Ai primi posti: allevamenti che operano secondo elevati standard di benessere animale, equità dei prezzi; chiarezza nelle etichette e tracciabilità dei prodotti, tutela dell’ambiente.

Questi sono i primi risultati emersi dal progetto di ricerca internazionale EIT Food: Increasing consumer trust and support for the food supply chain and for food companies, un progetto triennale – 2020-2022 – che fa parte del più ampio programma Consumer Trust Grand Challenge.

L’indagine ha coinvolto 2.363 persone, tra consumatori e protagonisti della catena alimentare di 6 Paesi: Finlandia, Israele, Italia, Polonia, Spagna, UK.

Il progetto vede la partecipazione dell’università di Torino, in particolare di un’équipe coordinata dalla professoressa Anna Miglietta del Dipartimento di Psicologia, con la collaborazione del Dipartimento di Filosofia (referente professoressa Tiziana Andina) ed è condotto da un Consorzio guidato dall’Università di Reading, Regno Unito.

Sedici i 16 partner coinvolti del mondo accademico e del mondo industriale: Universidad Autonoma de Madrid, Università di Helsinki, Queen’s University Belfast, Università di Varsavia e VTT; AZTI, CSIC, DouxMatok, Grupo AN, PepsiCo, Sodexo, Strauss Group, Technion; organizzazioni non-profit come l’EUFIC.

Per quanto riguarda l’Italia l’indagine si è basata su un questionario online sottoposto a 369 consumatori, 7 focus group con i consumatori, un workshop con 14 rappresentanti del mondo aziendale, accademico e giornalistico, 5 interviste con rappresentanti del mondo industriale.

I risultati hanno indicato che in questo periodo di pandemia, le persone si fidano maggiormente dei grandi rivenditori di prodotti di marca e preferiscono prodotti confezionati o anche surgelati, a discapito di quelli freschi.

È emersa una grande fiducia negli enti regolatori e di consulenza della filiera agro-alimentare, sono molti i sospetti invece nei confronti dei media, in particolare per quanto riguarda le pubblicità che coinvolgono famosi chef, anche se i programmi di cooking entertainment guadagnano sempre più spazio nelle piattaforme televisive e nel web.

L’opinione diffusa è che le aziende agro-alimentari non facciano abbastanza per comunicare in modo adeguato e trasparente i prodotti che commercializzano. Tra i  fattori che i consumatori ritengono importanti per effettuare le loro scelte: la  responsabilità sociale delle aziende, il benessere degli animali, lo smaltimento dei rifiuti, sia in fase di produzione che a seguito del consumo. Un percezione condivisa sia tra le aziende sia tra i consumatori italiani: gli agricoltori sono considerati i soggetti più vulnerabili della filiera agroalimentare.

L’EIT, European Innovation and Technology Institute, è un organismo indipendente dell’Unione Europea fondato nel 2008 per stimolare l’innovazione e l’imprenditorialità in tutta Europa. EIT Food ha un focus specifico sull’ecosistema del settore alimentare e lavora con consumatori, aziende, startup, ricercatori e studenti di tutta Europa per promuovere iniziative innovative e sostenibili, anche dal punto di vista economico, a vantaggio della salute delle persone, della qualità e della sicurezza degli alimenti e dell’ambiente.

Alessandra Apicella

2 Comments
  1. – grandi rivenditori di prodotti di marca e prodotti confezionati / surgelati, a discapito di quelli freschi: si, in un periodo di incertezza credo che questa sia effettivamente una linea di condotta che viene rafforzata comunque anche dai “luoghi” deputati all’acquisto, chi di questi tempi andrebbe in più posti per acquistare prodotti che potrebbe acquistare in un unico luogo ? ovviamente questo però necessita di un compromesso sulla qualità; ricordiamoci che pur essendo di qualità sostanzialmente inferiore, normalmente le produzioni delle grandi industri agroalimentari hanno un tasso di sicurezza mediamente maggiore o quanto meno più “certo”
    – grande fiducia negli enti regolatori e di consulenza della filiera agro-alimentare: anche qui credo che in gran parte sia una “scelta rifugio”, il chiedere ad “un altro” che dia certezze , cosa che i media volubili in ogni modo non possono dare
    – opinione diffusa che le aziende agro-alimentari non facciano abbastanza per comunicare in modo adeguato e trasparente i prodotti che commercializzano: questo è un fatto “nuovo” degli ultimi 10 anni che sta crescendo sempre più con il crescere delle possibilità comunicative e con l’affermarsi nella popolazione di elementi più giovani, i “grandi vecchi” dell’agroalimentare dovrebbero esser avvertiti, ma ancora ci sentono abbastanza poco da questo orecchio
    – agricoltori soggetti più vulnerabili della filiera agroalimentare: lo sono da sempre e non riescono ancora a fare nulla per non esserlo, cosa fanno le Associazioni (Coldiretti in testa) ? troppo poco forse non per immobilismo ma perché al loro interno lavorano ancora secondo schemi, logiche e dirigenze “vecchie”.

    1. Mai come in questo momento sono tante le cose che andrebbero ripensate e ridisegnate. Nuovi modelli di business davvero sostenibili, nuove modalità di comunicazione, tracciabilità, coinvolgimento dei consumatori, nuovi packaging… Potrebbe essere davvero una sfida entusiasmante se solo si avesse il coraggio di svecchiare e rinnovare davvero. In alcuni Paesi c’è un buon fermento di idee e innovazioni, da noi la sensazione è che si voglia fermare il tempo, anzi tornare indietro nel tempo, senza capire che tutto sta cambiando e continuerà a cambiare. Noi rimarremo in stazione, fermi ai binari senza capire che i treni sono già passati. Peccato perchè il nostro Paese potrebbe davvero diventare un grande protagonista trainante di questo settore. Abbiamo eccellenze, know how unico, biodiversità…mi ripeto, mancano leader coraggiosi e lungimiranti in grado di affascinare, mobilitare, incentivare le imprese e traghettarle davvero in una nuova dimensione, quella che servirà domani. E la parola chiave è sostenibilità, da tutti i punti di vista.

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