Nuove scoperte sul microbiota radicale

Le radici ospitano un’ampia varietà di microrganismi, inclusi batteri e funghi, che influenzano direttamente la salute delle piante. A questo proposito i ricercatori del Max Plant for Plant Breeding Research avevano già scoperto che i funghi svolgono un ruolo decisivo nell’ambito del microbioma radicale perché possono promuovere la crescita delle piante, ma solo quando sono tenuti sotto controllo dall’azione combinata del sistema immunitario innato dell’ospite e dei batteri che abitano le radici (https:// www.mpipz.mpg.de/pr-hacquard-2021-11).

Ora un nuovo progetto di ricerca invece ha evidenziato come questi funghi colonizzano le radici, perché molti di loro sono potenzialmente dannosi e cosa differenzia i funghi benefici dai funghi patogeni.

Per far luce su queste dinamiche i ricercatori hanno utilizzato la consueta pianta modello Arabidopsis thaliana (Thale Cress), che non può fare affidamento su funghi micorrizici benefici per acquisire nutrienti poiché non ospita la rete genetica necessaria per stabilire una simbiosi funzionale con questi funghi. A. thaliana probabilmente fa affidamento su altri funghi per compensare questa mancanza e per sopravvivere. Per caratterizzare meglio questi funghi che colonizzano le radici nella loro ampia diversità, i ricercatori hanno isolato una varietà di ceppi fungini dalle radici di piante sane in tutta Europa e ne hanno selezionati 41 rappresentativi del microbiota radicale di A.thaliana (Figura 1).

In collaborazione French National Institute for Agriculture, Food and Environment (INRAE) e con il U.S. Department of Energy Joint Genome Institute (JGI) i genomi di questi funghi sono stati sequenziati e confrontati con altri funghi precedentemente descritti come saprotrofici, patogeni, endofiti o micorrizici e, sorprendentemente, gli scienziati hanno scoperto che la maggior parte dei membri del microbiota radicale – isolati dalle radici di piante sane – deriva da antenati che erano probabilmente patogeni e avevano conservato una batteria di geni che si erano persi nei genomi di funghi micorrizici benefici. Questi geni codificano piccole proteine secrete simili a effettori che potrebbero modulare il sistema immunitario dell’ospite ed enzimi che possono degradare un gran numero di costituenti della parete cellulare delle piante, tra cui pectina, cellulosa ed emicellulosa. Questo ha portato a credere che molti di questi funghi possano aver mantenuto almeno una parte delle loro capacità patogene ancestrali.

Per verificare questa ipotesi, le piante di A. thaliana sono state coltivate in un sistema chiuso in assenza di microrganismi, o ricolonizzate con ciascuno dei 41 isolati fungini selezionati. Da questo esperimento è emersa un’ampia varietà di effetti dei funghi sulla crescita delle piante e in particolare si è osservato che i ceppi più dannosi per la pianta stavano colonizzando le radici in modo molto più aggressivo di quelli con effetti benefici. Inoltre, i funghi più frequentemente rilevati nelle radici di A. thaliana in natura erano anche quelli che mostravano effetti dannosi sul loro ospite in esperimenti di monoassociazione. Il lavoro precedente del gruppo di Stéphane Hacquard aveva suggerito che il microbioma di A. thaliana può diventare dannoso quando il sistema immunitario dell’ospite e i batteri che abitano le radici non controllano strettamente la proliferazione di questi funghi. Questi nuovi risultati mostrano che in natura i funghi con un alto potenziale di colonizzazione delle radici hanno un alto potenziale patogeno.

Utilizzando una combinazione di metodi di associazione, inclusi modelli di apprendimento automatico, gli autori hanno quindi associato gli effetti fungini sulla crescita dell’A. thaliana alle composizioni del genoma e hanno identificato con successo una famiglia di geni candidati che potrebbe spiegare gli effetti dannosi e le capacità di colonizzazione delle radici. Questa famiglia (pectato liasi PL1_7) codifica per enzimi che degradano la pectina, un costituente essenziale delle pareti cellulari delle piante, che è particolarmente abbondante nelle radici delle piante dicotiledoni come A. thaliana. Per provare questa tesi, è stato introdotto un gene di questa famiglia nel genoma di una specie fungina che naturalmente non lo ospita. Il ceppo mutante risultante è stato in grado di colonizzare le radici in modo più aggressivo rispetto all’isolato originale e questo aumento della carica fungina nelle radici è stato associato a una penalizzazione delle prestazioni della pianta.

Secondo l’ultimo autore dello studio Stéphane Hacquard “questi risultati indicano che i repertori di enzimi che degradano la parete cellulare delle piante nei genomi fungini sono determinanti genetici chiave che guidano l’accesso all’endosfera radicale e spiegano perché i colonizzatori radicali robusti possono potenzialmente diventare dannosi se degradano radici in modo troppo aggressivo.”

Dunque, il microbiota delle piante sane in natura è composto sia da amici che da nemici e questa nuova scoperta, secondo i ricercatori, può dare indicazioni importanti per progettare e ottimizzare le comunità fungine sintetiche in modo tale da ottenere risultati benefici sulle prestazioni delle piante.

Lo studio è stato pubblicato su Nature.

Alessandra Apicella

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