Anche nel caso dei fertilizzanti la strada per trovare alternative sostenibili è in salita ma mai come oggi c’è una nuova consapevolezza. La Russia è il primo esportatore mondiale di fertilizzanti e fornisce all’Europa quasi il 25% degli ingredienti base come nel caso dell’azoto per la cui produzione servono ingenti quantità di energia e petrolio.
In Europa esistono alcune società che hanno scelto di puntare proprio su nuovi paradigmi.
La società norvegese N2 Applied ha studiato e sviluppato una soluzione per sfruttare in modo ottimale il letame del bestiame. Ha realizzato una macchina che utilizza l’elettricità per estrarre l’ossido di azoto dall’aria e pomparlo nel liquame del bestiame. L’aumento della quantità di azoto nel liquame impedisce la fuoriuscita di ammoniaca e metano e crea un fertilizzante più efficace e meno maleodorante rispetto al liquame non trattato. Grazie a questo sistema l’agricoltore può riciclare i nutrienti all’interno della sua azienda e produce anche con un’impronta ambientale molto inferiore e con un inquinamento atmosferico dimezzato. La stessa azienda diventa un modello di economia circolare.
N2 Applied ha nove installazioni pilota in fattorie commerciali in Scandinavia, Paesi Bassi e Regno Unito e, con il feedback di questi progetti, sta sviluppando una macchina di nuova generazione che sarà commercializzata entro la fine di quest’anno.
C’è poi l’azienda francese Toopi Organics che è nata nel 2019 e ha creato un sistema per produrre fertilizzanti partendo dall’urina umana. Secondo il suo fondatore Michael Roes, l’urina è anche ricca di micronutrienti e consente ai microrganismi di crescere nel terreno. Sembra che Toopi abbia già firmato un accordo con un grande distributore di fertilizzanti per vendere i suoi prodotti e che stia organizzando le unità di trasformazione per i luoghi di raccolta delle urine.
La startup svedese NitroCapt, invece, il prossimo anno aprirà una fabbrica pilota in Germania per produrre fertilizzanti azotati senza emissioni di gas serra. Utilizza un reattore brevettato ad alta efficienza energetica che può funzionare con elettricità intermittente rinnovabile off-grid. E sempre un’altra azienda svedese, Cinis Fertilizer, utilizza sottoprodotti industriali e una tecnica che funziona a basse temperature e con energie rinnovabili. I suoi fertilizzanti hanno un’impronta di carbonio inferiore del 75% rispetto ai fertilizzanti tradizionali. L’azienda ha brevettato il suo processo e ha firmato un accordo con il produttore di batterie Northvolt per utilizzare il sottoprodotto del sale di solfato di sodio e creare solfato di potassio.
Anche la startup finlandese Tracegrow ha trovato un modo per estrarre e purificare i metalli dalle batterie alcaline usate e trasformarli in fertilizzanti fogliari organici mentre la società spagnola Ficosterra sta usando le alghe, ricche di micronutrienti benefici per produrre fertilizzanti e biostimolanti. Li sta già vendendo in tutta Europa, ma anche in Israele e in Messico dove ha creato uno stabilimento a Ensenada, nella Bassa California.
Alcune alternative sostenibili, dunque, stanno già prendendo piede anche se al momento non sono in grado di sostituire le soluzioni comunemente adottate, ma l’obiettivo finale è sempre più strategico: rendere l’Europa più autosufficiente e ridurre le emissioni di gas serra di cui sono responsabili i fertilizzanti tradizionali.