Diversità genetica e biodiversità, relazioni cruciali

Un team di ecologisti e genetisti dell’Università di Zurigo e dell’Università della California, Davis, ha condotto uno studio in laboratorio e ha scoperto che una mutazione in un singolo gene può alterare drasticamente la struttura e la funzione di un ecosistema. Un gene, dunque non solo codifica le informazioni che determinano la forma fisica di un organismo, ma può anche influenzare il comportamento e la permanenza di alcune specie che interagiscono in una comunità ecologica.

Jordi Bascompte, professore presso il Dipartimento di biologia evolutiva e studi ambientali dell’Università svizzera e il suo team sono arrivati a questa conclusione osservando un ecosistema sperimentale che ospitava un predatore (una vespa parassita), due erbivori (afidi) e la pianta Arabidopsis thaliana.

I ricercatori hanno testato l’effetto di tre geni che controllano l’arsenale naturale di difese chimiche della pianta contro gli erbivori e hanno scoperto che gli erbivori e i predatori nella loro comunità sperimentale avevano maggiori probabilità di sopravvivere su piante con una mutazione in un singolo gene chiamato AOP2. “Questa mutazione naturale in AOP2 non solo ha influenzato la chimica della pianta, ma ha anche fatto crescere la pianta più velocemente, il che a sua volta ha aiutato gli erbivori e i predatori a coesistere, impedendo così il collasso dell’ecosistema”, ha commentato lo scienziato Matt Barbour, principale autore dello studio.

Presentando i risultati di questo studio Barbour ha ricordato l’ecologo statunitense Robert Paine, che più di 50 anni fa aveva scoperto che le stelle marine svolgono un ruolo chiave nelle acque delle zone interditali perché la loro presenza e il loro ruolo di predatore permettono a diverse specie di coesistere in quegli ambienti particolari compresi tra i livelli della bassa e l’alta marea.

Simile a una specie “chiave di volta” come la stella marina, dunque AOP2 agisce come un “gene chiave di volta” che è fondamentale per la sopravvivenza dell’ecosistema sperimentale.

Questa scoperta, quindi, propone nuovi spunti di riflessione. È probabile che la scoperta di un gene chiave di volta abbia implicazioni sulla capacità di conservare la biodiversità, per questo le conoscenze provenienti dalla genetica e dalle reti ecologiche dovrebbero essere incluse quando si tratta di prevedere le conseguenze del cambiamento genetico per la persistenza della biodiversità su diverse scale. Gli individui con diverse varianti di un gene potrebbero essere aggiunti alle popolazioni esistenti per promuovere ecosistemi più diversificati e resilienti. E anche un cambiamento genetico apparentemente piccolo, se non studiato, potrebbe scatenare una cascata di conseguenze indesiderate per gli ecosistemi.

“Stiamo solo iniziando a comprendere le implicazioni del cambiamento genetico su come le specie interagiscono e coesistono. I nostri risultati mostrano che l’attuale perdita di diversità genetica può avere effetti a cascata che portano a cambiamenti bruschi e catastrofici nella persistenza e nel funzionamento degli ecosistemi terrestri”, ha commentato Barbour.

Lo studio è stato pubblicato su Science.

La foto è stata scattata dal ricercatore Matt Barbour dell’Università di Zurigo.

Alessandra Apicella

2 Comments
  1. questi articoli sono come piccole parabole che dal “piccolo” o “infinitamente piccolo” dovrebbero portarci a ragionare sul “grande”….

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