Fertilizzanti e fosforo, un enzima pronto a fare la differenza

Tutti gli organismi sulla Terra hanno bisogno del fosforo per crescere e svilupparsi in modo sano e questo vale soprattutto per le piante, ma l’uso continuato di fertilizzanti chimici al fosforo non rinnovabili minaccia i raccolti e la sostenibilità dei nostri sistemi di produzione alimentare, con conseguenze anche in termini di biodiversità e riscaldamento globale.

La forma più semplice di fosforo utilizzata nei fertilizzanti è il fosfato inorganico non rinnovabile e questo è dovuto al fatto che nell’ambiente la disponibilità di nutrienti organici a base di fosfato è spesso insufficiente per consentire la crescita naturale di piante e alghe. Nell’oceano e nel suolo, infatti, la maggior parte del fosforo esiste in forme organiche complesse, che richiedono enzimi, comunemente noti come fosfatasi, per rilasciare il fosfato in modo che piante e alghe possano usarlo come nutriente.

I ricercatori dell’ Institute for Sustainable Food dell’Università di Sheffield hanno identificato una fosfatasi batterica unica e abbondante nell’ambiente chiamata PafA, in grado di rilasciare in modo efficiente il fosfato utilizzato nei fertilizzanti dalle sue forme organiche. PafA, è ampiamente distribuita nella biosfera e ha un ruolo funzionale distinto nell’acquisire il carbonio e rilasciare fosfato come sottoprodotto. PafA, quindi, rappresenta un meccanismo trascurato nel ciclo globale del fosforo e propone un percorso finora inesplorato per la rigenerazione del fosforo biodisponibile in natura.

Lo studio ha utilizzato un modello Flavobacterium per esaminare la funzione PafA in vivo e ha dimostrato che può mineralizzare rapidamente il fosfato organico presente in natura indipendentemente dal livello di fosfato, un processo che è risultato essere inibito con altri enzimi comuni, in particolare se ci sono già livelli residui di fosfato presenti.

Il dottor Ian Lidbury, dell’Institute for Sustainable Food e dell’Arthur Willis Environmental Research Centre dell’Università di Sheffield, ha affermato: “L’accumulo di fosfato può inibire l’attività enzimatica nelle fosfatasi più comuni, ma PafA è unico in quanto la sua funzione non subisce alterazioni quando il fosfato accumula. Nell’ambiente, sia terrestre sia acquatico, inoltre c’è un’elevata presenza e diversità di PafA. Questa caratteristica lo rende una risorsa preziosa che ha il potenziale per aiutare le piante e gli animali a catturare in modo più efficiente i nutrienti essenziali. Per i nostri sistemi alimentari, invece, è un’opportunità per ridurre la nostra dipendenza dalle limitate scorte di fertilizzanti chimici al fosforo non rinnovabili e per evitare i danni dovuti al loro rapido esaurimento.”

Il team ora sta lavorando per indagare su ciò che rende alcune forme di PafA più attive di altre con l’obiettivo di progettare un enzima che possa essere utilizzato per favorire un’agricoltura sostenibile, e sta valutando l’opportunità di introdurlo anche nei mangimi per animali.

Lo studio pubblicato su PNAS

Alessandra Apicella

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