Il cibo? Tutto è sempre in divenire, parola di Lucia

Quanti di noi sanno cos’è l’antropologia culturale? Banalizzando è una branca delle scienze antropologiche che studia in modo trasversale le dinamiche che, palesemente o sottilmente, si sviluppano tra gruppi umani. Ecco Lucia Galasso ha scelto di intraprendere questi studi. Voleva capire meglio cosa contribuisce davvero a creare una cultura condivisa e soprattutto era incuriosita dalle contaminazioni che il tempo inesorabilmente continua a produrre. Poi ha deciso che in fondo il cibo era una prospettiva perfetta, fotografa e comunica tante cose, in modo diretto, trasparente, esplicito. Il cibo racconta molto, molto di più di quanto ciascuno di noi possa immaginare e così Lucia Galasso oggi è un’antropologa dell’alimentazione, un’osservatrice attenta ed entusiasta delle continue evoluzioni in atto, ma se le parlate di tradizioni la sua voce cambia tono.

“Ogni ricetta – esordisce Lucia – che sembrerebbe una verità cristallizzata, in realtà, ha mille interpretazioni e mille esiti. Ci sono gli ingredienti base, ma ogni ingrediente ha la sua origine e la sua filiera; chiunque cucini ha le proprie tecniche e intuizioni e introduce, piccole o grandi, varianti mutuate da abitudini familiari o scelte per necessità o per un’ispirazione creativa. Tutto è in continuo divenire ed è anche il risultato, a volte negato, di contaminazioni culturali. Basta pensare a quella che noi consideriamo un piatto molto italiano, pasta e patate, ma abbiamo dimenticato che le patate sono arrivate in Italia solo con la scoperta dell’America e che questa preparazione veniva realizzata con tuberi o rape o con quello che offrivano i campi locali.

“In questo universo intrigante della cucina c’è però una cosa che va detta: sono sempre state le donne ad avere il compito di portare a tavola il cibo e che si sono sempre arrabattate per preparare ogni volta qualcosa di sano, buono, diverso per le loro famiglie, spesso con quello che c’era in casa o che potevano permettersi di acquistare. La cucina è sempre stata la loro palestra quotidiana di creatività e amore.”

Ma oggi sono sempre più gli uomini ad occupare i ruoli più prestigiosi in questo campo…

“Anche questo è un fenomeno che ha origini lontane. Tantissime ricette sono nate nei conventi dove le monache, anche quelle provenienti da famiglie aristocratiche, coltivavano e selezionavano materie prime, mettevano a punto e perfezionavano preparazioni. Quelle ricette poi arrivavano nei palazzi importanti ma qui chi decideva alla fine sceglieva sempre un cuoco, non una cuoca, per la preparazione dei manicaretti destinati alla sua famiglia e ai suoi ospiti. Quello delle donne è sempre stato un ruolo decisivo, costante, silenzioso e troppo spesso lontano dai riflettori e anche oggi purtroppo sono poche le grandi chef che hanno la stessa visibilità e popolarità dei loro colleghi uomini”.

Impossibile non chiederle cosa sta succedendo oggi in questo imprevedibile periodo di pandemia.

“Viviamo tutti con mille paure e mille incertezze – afferma Lucia – e anche questa volta il cibo ci racconta molto bene i nostri stati d’animo e le nostre preoccupazioni. Se già prima della pandemia i consumatori erano sempre più interessati a un’alimentazione sana, che contribuisse realmente al benessere – cibo più sano, più salute e meno rischi di malattie – ed erano anche più sensibili ai temi della sostenibilità e del rispetto dell’ambiente, oggi queste tendenze sono diventate due esigenze prioritarie. Le persone vogliono acquistare prodotti sicuri e vogliono avere certezze sulla loro provenienza e sulle loro lavorazioni. Anzi cercano sempre più prodotti a filiera corta e possibilmente con lavorazioni minime e certificate.

“Anche il mondo della ristorazione collettiva sta trasformando la propria offerta all’insegna di questi nuovi parametri e gli “smart fridge” contengono alimenti naturali, con origine e lavorazione dichiarate, che possono essere prenotati con una semplice app in base alle proprie esigenze alimentari, intolleranze comprese, e personalizzati poi con verdure, frutta o altri prodotti freschi.

“Io credo che il futuro dell’alimentazione sarà sempre più orientato alla personalizzazione. Ognuno dovrà poter mangiare quello che fa bene al proprio corpo e che piace, nel rispetto delle proprie esigenze fisiche, culturali o religiose. Questo è un tema su cui anche il nostro turismo dovrebbe riflettere perché solo ascoltando e rispettando si può pensare di diventare veramente un Paese ospitale e accogliente. Sapere interpretare davvero l’accoglienza sarebbe davvero una chiave di volta per la nostra economia, visto il patrimonio naturale e artistico unico che abbiamo la fortuna di avere, anche se ovviamente questo virus ora sta congelando la maggior parte degli spostamenti.”

Un’ultima domanda: il consumatore continua a voler sapere di più su ciò che mangia e le etichette hanno limiti evidenti, qual è la sua opinione a riguardo?

“Credo che come sempre per la comunicazione sia importante aver chiaro il target cui ci si vuole rivolgere. Ci sono tanti giovani, digitalmente preparati, ma nel nostro Paese ci sono anche tante persone di una certa età, che non vanno a fare la spesa leggendo meticolosamente le etichette – che non sempre raccontano quello che vogliamo sapere – e che non hanno pc, smartphone e non sanno cos’è un QRcode. E poi mi piace sempre ribadire che i cosiddetti Big Data sono decisamente importanti per capire i fenomeni ma ci sono anche i Tick Data: danno indicazioni importati su attitudini, motivazioni di acquisto, orientamenti e aspettative delle persone. Morale? Credo che per il settore alimentare la vera sfida sia proprio quella della comunicazione, tutta o in gran parte da reinventare.

Alessandra Apicella

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