Servono più investimenti nel breeding, l’appello di Kate Evans, ricercatrice americana

Kate Evans è una professoressa di orticoltura della Washington State University impegnata nel miglioramento genetico di pere e mele. Con il suo team ha pubblicato uno studio per richiamare l’attenzione sull’importanza cruciale del breeding e sullo stato dei fatti: le risorse dedicate ai programmi di miglioramento genetico delle piante stanno subendo delle contrazioni, in termini sia di finanziamenti sia di personale.

Evans e i suoi colleghi sono partiti da un’indagine su 278 programmi di miglioramento genetico delle piante in corso nel Paese. Questi programmi sono pubblici e principalmente federali, come quelli gestiti dal Dipartimento di Agricoltura egli Stati Uniti o da alcune università di ricerca.

Sulla base di alcune interviste è emerso che i responsabili dei programmi di breeding hanno ridotto del 21,4% il tempo dedicato a queste attività negli ultimi cinque anni e il personale tecnico ha diminuito il suo impegno del 17,7%.

Questa indagine ha anche messo in luce che molti dei leader di questi programmi sono prossimi al pensionamento: oltre un terzo dei programmi è guidato da responsabili con età superiore ai 60 anni e il 62% ha un’età superiore ai 50 anni. Uno scenario che secondo la ricercatrice è preoccupante perché il miglioramento genetico delle piante ha un impatto diretto sulla sicurezza alimentare. 

L’attenzione alla sicurezza alimentare è aumentata proprio perché la pandemia si è rivelata un problema mondiale e “il miglioramento genetico delle piante è un modo sostenibile a lungo termine per affrontare le preoccupazioni legate alla disponibilità di cibo e alla sicurezza delle nostre fonti di cibo”, ha affermato Evans, che lavora presso il Tree Fruit Research & Extension Center della WSU a Wenatchee.

Il breeding ha diversi obiettivi: dalla possibilità di ottenere piante più resistenti alle malattie o alla siccità all’introduzione di nuove varietà più produttive o migliori in termini di gusto e valore nutrizionale. Gli agenti patogeni delle piante, come i batteri, e i parassiti si adattano sempre, quindi le varietà di colture che sono state ottenute in grado di combattere naturalmente una malattia iniziano a perdere le difese. I programmi di miglioramento genetico delle piante invece possono aiutare i coltivatori a stare al passo con queste evoluzioni potenzialmente dannose.

Secondo Evans, “una malattia, un parassita, il cambiamento climatico, un numero imprevedibile di fattori possono mettere a rischio la salute e la produttività delle piante. Viviamo in condizioni quanto mai precarie e vulnerabili e il breeding è un’opportunità concreta per affrontarle”.

Evans ha segnalato anche il declino dei programmi di breeding a livello locale decisivi per gli esiti dell’agricoltura dei territori e ha citato come esempi i programmi per il breeding dei cereali nello stato di Washington e quelli dedicati agli agrumi in Florida ma ha ricordato che ci vogliono molti anni per sviluppare una nuova varietà. E finanziare un programma per così tanto tempo richiede investimenti significativi.

“Non possiamo fare affidamento sulle sovvenzioni perché spesso sono solo relative a progetti della durata di pochi anni”, ha dichiarato la ricercatrice “e non si possono ottenere risultati importanti di miglioramento genetico nelle piante in tre anni, sono necessari finanziamenti sostenuti a lungo termine per avviare un programma”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Crop Science. Il progetto è stato finanziato dall’USDA National Institute of Food and Agriculture, dalla National Science Foundation e dalla National Association of Plant Breeders.

Noi come siamo messi?

Alessandra Apicella

1 Comment
  1. il problema è proprio dei grossi finanziamenti necessari per programmi di breeding, finanziamenti che non sono più disponibili come negli anni 80-90; probabilmente è cambiata anche la struttura della vendita commerciale divenuta molto più rapida, prodotti e progetti vengono “consumati” molto più rapidamente dal marketing, e nello stesso tempo, con tutta probabilità, anche la struttura finanziaria stessa degli investimenti richiede dei ritorni a tempi molto più ridotti rispetto ad una volta, sono cambiati i consumatori, ma sono cambiati anche gli investitori e i loro cicli di investimento. se parallelamente consideriamo anche la perdurante diffidenza nei confronti della cisgenetica e della genetica molecolare, che potrebbero invece ridurre i tempi, comprendiamo ancora meglio questo momento di sostanziale smarrimento. certo che da alcune indicazioni della ricercatrice sembra quasi che i programmi di breeding siano attualmente una specie di “cimitero degli elefanti”. peccato, e pensare che fare il genetista era uno dei sogni della mia giovinezza…

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