Dagli studi sul genoma nuove prospettive per avere piante più resistenti

Nel mirino della Ricerca sono entrate le solanacee, una famiglia di piante che comprende alcune specie molto diffuse e a noi molto familiari come le patate e le melanzane.

In Olanda si sono occupati di patate. I ricercatori dell’Università di Wageningen e la società olandese Solynta, specializzata nella coltivazione di patate ibride, hanno realizzato uno studio congiunto e hanno pubblicato una sequenza genomica della pianta molto precisa. Questo risultato è considerato un traguardo importante perché potrebbe facilitare l’introduzione di patate più resistenti: ai cambiamenti climatici, alla siccità, alle malattie. L’unicità di questo progetto è che sia la sequenza sia il materiale vegetale sono disponibili, concordandone le condizioni.

Secondo i ricercatori, leggere la struttura del genoma della patata è estremamente complicato, poiché una patata normale è composta da quattro genomi. In questo studio invece è stata utilizzata una vera pianta di patata diploide con un solo genoma e quindi la lettura della sequenza base del DNA è risultata semplificata. Questa pianta è uno dei risultati del lavoro che sta realizzando Solynta nel campo delle patate ibride ed è stata chiamata Solyntus.

Solynta è un’azienda olandese di biotecnologia che ha brevettato una piattaforma tecnologica innovativa di riproduzione (non OGM) per creare patate ibride. Questa tecnologia permette di lavorare con un materiale di partenza limitato – vengono impiegati 25 grammi di semi invece di 2500 chilogrammi di tuberi – e riduce i tempi e i costi di produzione, anche quelli relativi alla logistica. Grazie alle sue tecniche innovative Solynta è in grado di sviluppare rapidamente nuove varietà che combinano tratti positivi delle specie.

Ma tornando alla ricerca, Richard Visser, professore presso il dipartimento di Plant Breeding della Università di Wageningen ha commentato: “La sequenza del genoma precedentemente disponibile consisteva in circa 125.000 piccoli segmenti. Il genoma che presentiamo ora comprende 185 grandi segmenti. Questo è un risultato importante che è stato ottenuto attraverso una combinazione di materiale vegetale unico e nuove tecniche di sequenziamento e analisi. Mentre la sequenza precedente riguardava una varietà selvatica della patata, ora abbiamo usato una vera pianta di patate. Spero, e mi aspetto, che il nostro lavoro alla fine porterà a un processo di coltivazione delle patate più efficiente e più veloce. “

E della melanzana invece si è occupato un team di ricerca a guida italiana composto da ENEA, CREA e Università di Verona e Torino che ne ha decodificato il genoma. Lo studio, che è stato pubblicato in un articolo della rivista Scientific Reports, è stato condotto in collaborazione con l’Università di Napoli, il Weizmann Istitute e la University of California.

“La melanzana, come la patata e il pomodoro appartiene alla famiglia delle Solanacee che comprende circa 2.500 specie diverse. La sequenza genomica ha confermato che la grande diversità morfologica delle Solanacee si è generata partendo da un numero di geni molto simile (circa 35.000 in ognuna delle tre specie). Oltre alla melanzana più diffusa in Italia – la specie Solanum melongena – esistono in natura circa cinquanta specie affini, di cui alcune a rischio estinzione a causa dei cambiamenti climatici”, ha spiegato Giovanni Giuliano, dirigente di ricerca della Divisione ENEA di Biotecnologie e agroindustria.

E questi, in sintesi, i risultati del progetto secondo Giuseppe Leonardo Rotino, dirigente di ricerca presso il CREA Genomica e Bionformatica: “La melanzana sequenziata, chiamata 67/3, è stata sviluppata dal CREA incrociando la varietà “Tunisina” della tipologia tipicamente italiana violetta con una linea di origine asiatica, per correggerne il difetto della polpa soffice che assorbe parecchio olio in cottura. La progenie è stata poi continuamente selezionata per i 6 anni successivi, fino ad arrivare appunto alla 67/3, da cui abbiamo costituito numerose famiglie imparentate, che hanno permesso di poter ordinare correttamente le sequenze del genoma. Questo ci ha consentito di comprendere la base genetica di una serie di caratteri agronomici importanti, accelerando i programmi di miglioramento genetico, tramite marcatori molecolari associati ai geni di interesse. In particolare, ci siamo concentrati sui geni coinvolti nella colorazione e nella maturazione del frutto e nella resistenza a patogeni fungini”.

E per arrivare alle prospettive concrete ecco le parole di Sergio Lanteri, ordinario di Genetica agraria presso il Dipartimento di Scienze agrarie, forestali ed agroalimentari dell’Università di Torino: “La melanzana è uno degli ortaggi più consumati al mondo e l’Italia ne è il principale produttore europeo. È stata domesticata oltre 2.000 anni fa in Asia e ha subito un ‘collo di bottiglia’ genetico che ne ha ridotto la biodiversità e la resistenza a malattie e a stress ambientali. La decodifica del genoma ci ha già consentito di iniziare a esplorare il “pool” genetico della melanzana e contribuirà al superamento di queste problematiche”.

Per avere cibo disponibile per tutti, malgrado i cambiamenti climatici, cosa faremo? Recupereremo specie che abbiamo fatto scomparire e che oggi potrebbero essere preziose, ne coltiveremo di nuove più resistenti ai cambiamenti climatici e alle malattie? La Ricerca sicuramente sta facendo egregiamente la sua parte…

Alessandra Apicella

2 Comments
  1. Senza dubbio la conoscenza del genoma e il recupero della biodiversità naturale permetterà di sviluppare nuove varietà resistenti a modificate condizioni climatiche, ma si tratta ancora di un argomento spinoso; non stiamo parlando di OGM, ma ugualmente la nuova legge sul Biologico (che andrà in vigore se non sbaglio nel 2021) ha lasciato ancora fuori dalla porta (o messo sotto il tappeto ?) argomenti come cisgenetica e coltivazioni fuori suolo…io credo al di là di ogni dubbio o convinzione ideologica che saranno le condizioni (e considerazioni) climatiche a imporre nel prossimo futuro certi argomenti che oggi facciamo ancora troppa difficoltà ad affrontare

    1. Io da profana penso che non si sia generalmente capito che cambiamenti climatici e cibo per tutti siano problemi da affrontare ora in modo strutturato e concertato (traduco: ricerca, industria, mondo politico…) e che solo l’innovazione, secondo principi etici, è la strada da percorrere. Intercetto sempre molta resistenza al nuovo e non credo che sia l’atteggiamento più sano e costruttivo. Forse iniziando a lavorare ora potremmo riuscire ad arginare un’evoluzione preoccupante, rinviando ci troveremo ad affrontare solo problemi più complessi.

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