Betulla e il suo impegno in difesa degli ecosistemi marini

Il suo spirito e la sua passione sono rimasti quelli della ricercatrice, un percorso iniziato nel 1995, dopo la laurea in Biologia all’università di Bristol (UK),  un master in gestione delle risorse acquatiche ed un dottorato in Biologia marina . Ha lavorato per 10 anni al CNR di Ancora, per 5 anni al CSIRO in Australia e oggi Elisabetta Betulla Morello fa parte del GFCM, General Fisheries Commission for the Mediterranean, l’organismo creato dalla FAO per tutelare l’uso sostenibile e la conservazione delle risorse marine nel Mediterraneo e nel Mar Nero. “Qui lavoro con un piccolo team, fortissimo e affiatato, e l’altro giorno siamo riusciti a ritornare tutti insieme in ufficio, ritrovarci è stata una grande emozione!”.

Betulla – questo il suo vero primo nome – ha sempre studiato gli ecosistemi marini, ha passato giorni e notti ad osservare e raccogliere dati, anche in condizioni estreme come quando si è ritrovata ad esplorare le acque dell’Oceano Indiano al largo dell’Australia o in Antartide durante una vacanza. L’obiettivo? Riuscire ad avere un quadro aggiornato delle diverse popolazioni presenti nei mari e nei fondali, monitorare il loro stato di salute, in base alle evidenze e ai dati raccolti costruire modelli matematici previsionali per definire piani adeguati alla loro sopravvivenza e al loro benessere.

Per me è sempre stato entusiasmante lavorare con e per la Natura, richiede passione, pazienza e determinazione ma quando arrivano i risultati le soddisfazioni sono indicibili, ripagano tutto. La carta vincente è sempre la collaborazione, con tutti gli altri attori coinvolti. Oggi molti Paesi dell’area del Mediterraneo e del mar Nero si avvalgono di sistemi di monitoraggio standard condivisi e questo facilita le attività, permettendo di scambiare dati e informazioni in modo omogeneo. Sistemi che, anche con il contributo finanziario dell’Unione Europea, stiamo estendendo a tutti quei paesi in cui mancano. Per tornare al tema della collaborazione, penso in particolare alle sinergie che si realizzano tra ricercatori ma anche al ruolo dei pescatori, i piccoli pescatori sono fondamentali, rappresentano l’83 per cento del settore, anche se i loro ricavi sono il 30 per cento del totale.  Sono proprio loro che conoscono meglio di ogni altro le acque locali, che toccano con mano gli effetti dei cambiamenti climatici, che intercettano la sofferenza di alcune specie o la comparsa di nuovi esemplari. Sono gli osservatori più attenti e preparati e sono sempre sul campo.

“La zona di pesca regolamentata che abbiamo contribuito a realizzare attorno all’isolotto vulcanico di Pomo, Jabuka in lingua croata, è un esempio concreto di un grande lavoro di squadra tra competenze eterogenee italiane e croate e i pescatori hanno avuto un ruolo chiave. “

Ma come stanno i nostri pesci del Mediterraneo?

“Oggi c’è una nuova sensibilità e una nuova consapevolezza diffusa a tutti i livelli: la vita e il benessere dei pesci vanno tutelati perché da loro dipende anche la nostra sussistenza. Se oggi i pesci non stanno bene e non possono riprodursi, domani non potremo più pescare. Anche i consumatori sono sempre più attenti e preferiscono comprare prodotti ottenuti con una pesca sostenibile e questo è un fattore che accelera le dinamiche del settore e la transizione verso modelli più rispettosi dell’ambiente. “

Sostenibilità però in certi casi vuol dire rallentare o sospendere certe attività per recuperare habitat eccessivamente sfruttati e questo può voler dire penalizzare la sussistenza di molte persone

“Ogni volta che si definiscono piani di intervento e di gestione si valutano sempre tutte le conseguenze e le implicazioni economiche e sociali, sono piani pluriennali che poi vanno presentati e declinati a livello nazionale ma lo sforzo è proprio quello di condividere sfide e obiettivi a breve e a lungo termine. I vantaggi di una gestione integrata si traducono sempre in evidenze tangibili. Portando nuovamente l’esempio della zona di pesca regolamentata di Pomo sono stati proprio i pescatori i principali beneficiari: il recupero della biodiversità della zona ha dato vita a una maggiore quantità di pesci, di qualità superiore.”

Il suo entusiasmo è evidente ma a quanto pare anche il suo ottimismo.

“È vero. Dal nostro osservatorio percepiamo davvero un nuovo impegno da parte di tutti i nostri Paesi membri in Mediterraneo e Mar Nero e una grande mobilitazione trasversale: di istituzioni, organizzazioni e associazioni. Il lavoro da fare è ancora tanto ma gli sforzi stanno dando risultati importanti: nel mar Mediterraneo e nel Mar Nero, secondo i nostri studi, nel 2018 il 75 per cento degli stock ittici era ancora soggetto a una pesca eccessiva ma è stato registrato un miglioramento tangibile con una diminuzione di questa percentuale del 13 per cento rispetto al 2012. Il grande obiettivo della FAO è riuscire sensibilizzare tutti i Paesi a livello mondiale e attivare questo processo virtuoso al di là di ogni confine. D’altra parte, i pesci non conoscono confini e i cambiamenti climatici stanno modificando e modificheranno ulteriormente gli ecosistemi e la sfida è riuscire a produrre cibo per una popolazione in crescita…dunque recuperare la biodiversità è un percorso inevitabile e deve essere un processo globale. E la collaborazione è l’autostrada più veloce per raggiungere la meta.”


 

Alessandra Apicella

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