Breeding e ostacoli, l’allarme di Kate Evans ha un sapore conosciuto

Kate Evans della Washington State University e Michael Coe del Cedar Lakes Research Group hanno recentemente pubblicato un intervento su “Sustainable, Secure Food Blog” e stanno attivandosi su più fronti modi per rilanciare il loro grido di allarme: negli Stati Uniti gli investimenti pubblici nei programmi di miglioramento genetico delle piante sono diminuiti. Dati ed evidenze sono stati raccolti in un loro  studio pubblicato su Crop Science a maggio di quest’anno. L’analisi individua la causa prioritaria nel modello dei finanziamenti, che prevedono sovvenzioni a breve termine (1, 2 o talvolta 5 anni), un arco temporale spesso inadeguato a questo tipo di programmi che in media richiedono dai 7 ai 12 anni.

Kate ricorda a tutti che l’obiettivo dei programmi di breeding è semplice: ottenere colture con caratteristiche particolari come la tolleranza alla siccità o la resistenza alle malattie e che le nuove varietà devono anche essere di qualità, avere ottimi valori nutrizionali e un buon sapore. Il processo necessario per arrivare a risultati significativi, tuttavia, è laborioso e richiede tempi lunghi. I passaggi fondamentali sono tre.

1. La selezione delle piante/genitori in base alle caratteristiche ricercate: gusto, dimensioni, capacità di cottura, resa, resistenza alle malattie e altro ancora.

2. L’impollinazione dei semi in modo incrociato.

3. La crescita delle piante e la loro attenta valutazione, molte di loro vengono scartate e solo poche selezionate sono destinate a un nuovo ciclo di genitorialità.

Dopo molti cicli di “creazione di diversità” e selezione chi si occupa di breeding può ritenersi soddisfatto se una piantina può diventare una nuova varietà di successo. Ma una volta ottenuta la nuova varietà non si è ancora arrivati al traguardo. Alcune colture possono essere immesse sul mercato in pochi anni, ma altre possono richiedere ben più di un decennio. Kate porta l’esempio delle mele.

La ricercatrice ricorda che è proprio grazie ai programmi di breeding se le piante, i raccolti e la qualità sono migliorati e se anche i sistemi di produzione agricola sono diventati più efficienti. Grazie al breeding, infatti, esistono nuove varietà più resistenti ai cambiamenti climatici, ai parassiti, alle malattie. Ma le condizioni climatiche e gli ecosistemi cambiano e per proprio per questo Kate sostiene che il miglioramento genetico delle piante oggi è uno strumento ancora più indispensabile per renderci in grado di affrontare la nostra sicurezza alimentare a lungo termine.

Ecco gli ostacoli, secondo la ricercatrice. Sia le istituzioni pubbliche sia quelle private hanno come obiettivo il miglioramento del nostro sistema di approvvigionamento alimentare. I programmi di breeding sostenuti a livello pubblico spesso si concentrano su colture importanti per la società, e in questi casi, per arrivare ad ottenere risultati il lavoro, i tempi e gli investimenti sono impegnativi. In alcuni casi ci sono anche programmi di breeding rivolti a specifiche colture regionali o che appartengono a preziosi mercati di nicchia. I programmi di breeding privati invece di solito si concentrano sulle materie prime che hanno mercati multinazionali e hanno un potenziale per generare grandi ritorni sugli investimenti a breve termine.

L’allarme di Kate nasce dall’analisi di una serie di studi condotti negli Stati Uniti che evidenziano un trend allarmante per le attività di breeding perché i budget e la disponibilità di personale continuano a diminuire, nonostante lo sviluppo di nuove tecnologie di selezione vegetale. Ma i dati relativi all’ultimo studio che risale al 2018 ha messo in luce uno scenario ancora più preoccupante: negli ultimi 5 anni si è registrata una riduzione del personale coinvolto e degli esperti a capo dei programmi di breeding e le evidenti carenze di budget hanno limitato la capacità di supportare il personale, mantenere l’infrastruttura e le operazioni principali, utilizzare le nuove tecnologie. L’applicazione di nuovi progressi scientifici o le opportunità di formazione continua per studenti laureati e post-laurea sono in genere le prime voci che vengono tagliate.

Per questo, secondo Kate, i programmi di breeding pubblici sono veramente strategici e hanno un ruolo decisivo anche per la formazione di una nuova generazione di agricoltori e di esperti da inserire sia nel settore pubblico sia in quello privato.

La conclusione è matematica: è indispensabile mantenere finanziamenti adeguati ai programmi di breeding per consentire un’evoluzione davvero sostenibile al nostro sistema alimentare, evitando che i responsabili dei programmi dedichino il loro tempo alla costante ricerca di maggiori finanziamenti, piuttosto che concentrarsi sul proprio lavoro effettivo.

Alessandra Apicella

2 Comments
  1. purtroppo è un “movimento” inarrestato da circa 20 anni quello che porta alla riduzione degli investimenti (e di uomini) nel breeding, e pensando a tutte le nuove tecniche che oggi possediamo e che potrebbero aiutare nel dare risultati particolarmente importanti, si tratta di un fenomeno abbastanza incomprensibile, se non visto nell’ambito di una gestione strettamente finanziaria di questi progetti (come si dice appunto nell’articolo). Un secolo fa l’uomo aveva minori necessità impellenti, le società erano meno caotiche e più “semplici” nella struttura dei loro bisogni. Proprio oggi, che avremmo maggiore bisogno di piante che rispondano in maniera diversa alle nuove sollecitazioni ambientali e ai nuovi bisogni sociali, dovremmo avere una maggior concentrazione di risorse nella evidenziazione di nuove varietà di piante necessarie all’alimentazione. …ma la società sta impazzendo un po’ alla volta…

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