Educazione alimentare, c’è tanta strada da fare

Una recente ricerca internazionale, che ha preso in esame i testi utilizzati dagli studenti in medicina, ha messo in luce l’inadeguatezza della formazione in campo nutrizionale. Un fenomeno preoccupante visto che quello che mangiamo è decisivo per la nostra salute e che dovrebbero essere proprio i medici a darci consigli e a guidarci nelle scelte. Il titolo di questo studio è esplicito “Nutrition in medical education: a systematic review”.

Alimenti con ridotti contenuti di nutrienti importanti come le proteine, insufficiente assunzione di frutta e verdura, prodotti con elevate quantità di sale, zucchero e grassi non danno un corretto apporto nutrizionale e compromettono la salute, favorendo l’insorgere di disturbi e malattie come diabete, obesità e patologie cardiovascolari. Un problema per gli individui, ma anche per le comunità che vedono aumentare i costi dell’assistenza sanitaria.

Secondo la ricerca, gli studenti hanno anche dichiarato di non avere conoscenze adeguate a supportare un cambiamento di abitudini alimentari dei loro pazienti.

I ricercatori che hanno curato questo studio sollecitano un impegno istituzionale per rendere obbligatoria una buona preparazione in questo campo e suggeriscono di rivedere i programmi di formazione medica includendo questa materia, fondamentale anche per chi non ha scelto di diventare esperto nutrizionista o dietologo. In caso di esigenze particolari i medici dovrebbero poi potersi rivolgere agli specialisti, una pratica già diffusa in molti Paesi dove il loro intervento è raccomandato sia dalle autorità sanitarie sia dagli organismi professionali dei medici.

E a proposito di bibite dolci e gasate, negli Stati Uniti, l’università della California ha deciso di eliminare dai propri uffici questo tipo di bevande e ne ha poi valutato le conseguenze. L’iniziativa ha coinvolto circa 200 persone e dopo 10 mesi i risultati sono stati inconfutabili: quasi il 70% delle persone, con un consumo quasi dimezzato di bevande zuccherate, ha registrato una riduzione delle dimensioni del giro vita, un miglioramento dell’insulino-resistenza e un abbassamento del colesterolo totale.

Oltre ai dati oggettivamente positivi e alla soddisfazione dei dipendenti, l’iniziativa dell’Università ha voluto dare un messaggio alle imprese: al di là dei tentativi di governo di controllare o tassare la vendita di queste bevande zuccherate, il settore privato può contribuire in modo sostanziale alla salute dei suoi dipendenti sostituendole con acque aromatizzate, acque frizzanti, caffè e tè non zuccherati o installando distributori d’acqua filtrata. Una strada da percorrere, secondo i ricercatori americani, visto il continuo aumento di malattie legate all’obesità, una vera epidemia sempre più difficile da combattere.  

Alessandra Apicella

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