Formaggi e coagulanti vegetali, magiche alchimie tra tradizioni e innovazione

Katia ci sta lavorando da anni. Tutto è nato un po’ per caso, da un incontro con i produttori di Caciofiore della campagna laziale. Poi da quell’episodio sono nati interessi personali e un vero e proprio lavoro di ricerca, che ora potrà decollare in modo più strutturato. Il progetto FORVECARDO, infatti, riceverà un fondo dalla Regione Lazio.

Katia Liburdi è una ricercatrice del Dipartimento Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia, si è sempre occupata di enzimi, dapprima nella viticultura, ora nel campo lattiero-caseario.

L’impiego dei coagulanti vegetali è una pratica che nasce veramente lontano nel tempo. Ne è una conferma il Caciofiore di Columella, un antico formaggio di latte di pecora della campagna romana.

“È una tradizione diffusa da secoli in tanti Paesi di tutto il mondo. Le fonti vegetali impiegate variano a seconda delle aree geografiche.  Gli estratti dei pistilli di cardo (Cynara cardunculus) ed il lattice di fico (Ficus carica) vengono impiegati nel bacino del Mediterraneo per la produzione di formaggi da latte caprino, ovino e vaccino, mentre in Sudan vengono usate le bacche di Solanum dubium, in Messico l’estratto di S. eleagnifolium  e in Nigeria il lattice estratto dalle foglie di Calotropis procera.

In Italia quanti formaggi vengono prodotti con questa tecnica?

“Nel nostro Paese, oltre al Caciofiore di Columella, ci sono le produzioni con marchio DOP il “Pecorino delle Balze Volterrane” ed il “Fiore Sardo”, entrambi prodotti da latte ovino impiegando l’estratto acquoso di pistilli essiccati di C. cardunculus.  In diverse regioni italiane invece vengono prodotti formaggi freschi con l’aggiunta di lattice di F.carica come il “Caprino al Lattice di Fico” della regione Marche, la “Pampanella” abruzzese e pugliese, infine il “Ficu” formaggio artigianale prodotto utilizzando il solo latte di capra della razza Girgentana in Sicilia.

Come procederà la sua ricerca e con quali obiettivi? 

“Il mio progetto intende identificare gli impieghi ottimali di queste fonti vegetali per ottenere risultati qualitativamente eccellenti: condizioni di raccolta/essicazione/conservazione, tipologie di latte, temperature. Si propone anche di standardizzarne in qualche modo le procedure e di esplorarne tutte le opportunità per arrivare a produrre nuove varietà di formaggi”

Quali sono a suo parere le potenzialità?

“Le faccio l’esempio del nostro Caciofiore di Columella. È un formaggio davvero unico per la sua consistenza e per il suo profumo che evoca quello del cardo, è un presidio Slowfood e viene realizzato secondo un disciplinare che è stato messo a punto nel tempo da una dozzina di produttori del Lazio, con cui tra l’altro ho un ottimo rapporto di collaborazione. È un prodotto in qualche modo di nicchia ma sta riscuotendo un grande successo.

“Oggi i filoni produttivi tradizionali sono in qualche modo saturi e i consumatori desiderano prodotti genuini e naturali e sono anche alla ricerca di nuovi sapori e nuovi profumi. Non solo. I formaggi prodotti con coagulanti vegetali rispondono alle esigenze alimentari del pubblico sempre più ampio dei vegetariani e vengono scelti da molte popolazioni anche per motivi etici, religiosi e culturali. Per chi opera nel settore lattiero caseario, quella dei coagulanti vegetali è dunque una vera opportunità per diversificare il mercato e fare la differenza.

Non solo. La proteasi contenuta in queste fonti vegetali si presta a molteplici usi nell’industria alimentare e in molti casi si potrebbero ottenere estratti purificati, preziosi per la lavorazione di molti prodotti. Credo davvero che questo sia un universo ancora tutto da esplorare, ci può riservare tante sorprese e tante idee di innovazione per produrre un cibo sano e sostenibile.

Alessandra Apicella

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