Ilaria e i segreti della vita delle piante

Succede quasi sempre così. Per emergenze o a volte per incomprensibili ondate mediatiche si accendono i riflettori su tematiche nuove e sconosciute al grande pubblico. Iniziano a girare parole mediamente sconosciute ai non addetti ai lavori, che però incuriosiscono e alla fine creano vero interesse perché fanno conoscere nuove, utili verità.

È il caso ad esempio dei probiotici e dei prebiotici oggi considerati decisivi per la salute dell’essere umano e di tutti gli esseri viventi. E oggi se ne parla sempre più spesso anche per le piante perché il riscaldamento globale e l’esigenza di adottare pratiche sempre più sostenibili sono diventate sfide urgenti. Ma come sempre, c’è già qualcuno che da tempo, forse intuendo gli scenari, lavora esplorando nuovi percorsi e soluzioni. Sono i ricercatori che operano senza troppi clamori, con grande pazienza e tenacia, mossi sempre da una grande passione.

Ilaria Pertot è una di loro. Dopo essersi laureata e aver fatto il dottorato all’università di Udine e aver frequentato corsi presso l’Università californiana di Berkley, la sua carriera professionale l’ha portata all’attuale ruolo di professore ordinario del Centro Agricoltura Alimenti Ambiente (C3A).  Il C3A è una struttura accademica nata nel 2016 dall’unione delle forze dell’Università di Trento e della Fondazione Edmund Mach che si occupa di ricerca e didattica in campo agro-alimentare e ambientale, oggi è anche il punto di riferimento nazionale per il Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia.

“Abbiamo iniziato a studiare i probiotici nel 2000 – afferma Ilaria – si cercavano alternative ai fertilizzanti e ai pesticidi e abbiamo incominciato ad analizzare i microorganismi con cui le piante convivono e di cui favoriscono la colonizzazione per nutrirsi e crescere meglio. Ad esempio, nel caso del fosforo, spesso presente nelle rocce e non solubile con l’acqua, ci sono dei microorganismi che vivono sulle radici delle piante e che producono degli acidi che liberano il fosforo e consentono alla pianta di utilizzarlo. Il loro ruolo diventa decisivo quando la pianta ha bisogno di nutrienti, per questo spesso su una pianta abbondantemente fertilizzata il trattamento con questi biofertilizzanti ‘probiotici’ è vanificato.”

Ma oggi quanto vengono utilizzati i probiotici in agricoltura?

“Attualmente sono già molte le proposte commercializzate e utilizzate, il loro impiego al momento è più frequente in Francia e in Spagna, in Europa comunque la ricerca sull’impiego di probiotici e prebiotici è in grande fermento. Oltre a far crescere in salute la pianta, senza ricorrere ai fertilizzanti chimici, i probiotici infatti si sono dimostrati molto preziosi proprio per contrastare le malattie. Noi abbiamo fatto uno studio su una malattia della vite che si verifica quando viene effettuata la potatura, causata da un fungo che non risulta debellabile con nessun trattamento. Siamo andati a cercare e abbiamo campionato microorganismi che vivono nel legno in decomposizione e abbiamo scoperto che alcuni di loro, se applicati sulla ferita della pianta della vite, funzionano come dei cerotti biologici proteggendo la ferita di potatura dall’ingresso dei patogeni. Diventano veri antagonisti della malattia e il loro effetto dura a lungo nel tempo mantenendo la pianta sana. Certo ogni pianta e ogni malattia richiedono studi specifici e non ci sono ricette univoche.”

Quanto interesse c’è davvero da parte del mercato?

“L’industria chimica è sempre più interessata e impegnata a individuare e rendere disponibili soluzioni sostenibili. Alcuni investono anche in progetti di ricerca congiunta con le università proprio per arrivare prima e avere l’esclusiva su nuovi bioagrofarmaci. Ma oltre all’acquisto del brevetto per l’azienda ci sono altri investimenti importanti da fare. Si deve mettere a punto un sistema per produrre i microrganismi a livello industriale e spesso la fase della fermentazione realizzata su grande scala può comportare problemi tecnologici. Oltre a ciò bisogna produrre tutta la documentazione necessaria per rendere commercializzabile il prodotto, che ne certifichi l’efficacia e la sicurezza. Questa seconda fase comporta in media per l’azienda un investimento di un milione di euro.

“Noi in questo campo abbiamo molti brevetti e ci occupiamo di tutte le fasi preindustriali, va tenuto presente però un aspetto specifico della natura particolare dei probiotici: vengono liofilizzati e hanno necessariamente una durata limitata nel tempo per il loro impiego. Anche questo è un aspetto che le aziende valutano quando decidono di introdurre i loro nuovi prodotti biologici nel mercato. In ogni caso i probiotici e i prebiotici sono sicuramente il percorso più naturale per rendere l’agricoltura produttiva e sostenibile e in Europa siamo davvero all’avanguardia in questo campo, anche se oggi sono molti i Paesi che si stanno impegnando per  recuperare il ritardo, gli americani e i cinesi, con la loro capacità di investimento, stanno accelerando.”

Alessandra Apicella

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