L’occhio vigile di Mara per il benessere del territorio e la qualità del suo riso

Quella della famiglia Stocchi è una vicenda come tante altre nella storia della nostra agricoltura. I bisnonni di origini bergamasche scelgono le terre dell’alto Piemonte e si trasferiscono in una cascina a Rovasenda, in provincia di Vercelli. La terra è ricoperta da boschi e paludi ma loro la trasformano con tanto lavoro e tanta tenacia imparando a coltivare il riso.

Poi negli anni, come in tante altre storie, arriva la meccanizzazione e arrivano anche i concimi e i diserbanti di origine chimica che trasformano il territorio danneggiandolo. Anche le carpe, tradizionali alleate nella coltivazione del riso, soffrono e presentano sintomi di disagio e malessere. Ma nel 1995, i fratelli Fulvio e Giacomo Stocchi decidono di aderire ad una normativa europea che propone la riduzione e l’eliminazione di alcuni prodotti chimici, oltre alla rotazione dei terreni a diverse coltivazioni. La scelta è quella di produrre un riso di maggiore qualità e di inaugurare all’interno della cascina restaurata anche uno spaccio aziendale.

Altre tappe segnano la storia dell’azienda ma tutte all’insegna di un riso di qualità elevata e di una coltivazione sempre più rispettosa dell’ambiente; oggi anche certificato bio. La “novità” del riso coltivato naturale stava diventando sempre di più un motivo di orgoglio per la famiglia Stocchi. All’inizio è solo il “Rosa Marchetti”, di cui dal 2002 si moltiplicano e si conservano religiosamente i semi, ma successivamente gli Stocchi diventano custodi di altre varietà come il Bertone, l’Originario Chinese, il Pierrot, il Lencino, da qualche anno formalmente iscritti al registro delle varietà da conservazione. Va detto anche che per avere una filiera controllata il team della Garlanda ha restaurato e rimesso al lavoro delle vecchie macchine creando un proprio impianto di decorticazione.

Oggi alla guida dell’azienda sono subentrati i figli di Fulvio, Mara e Ugo e i rispettivi compagni di vita, Manuele ed Elysabeth, che hanno deciso di chiamare il loro piccolo regno Una Garlanda. Il nome prende spunto da un termine dialettale con cui si indica quella porzione di campo, di solito a margine della risaia, dove il riso è più bello, fitto e rigoglioso. “Oggi abbiamo tante “garlande” – afferma Mara – perché abbiamo creato dentro alle nostre risaie argini aggiuntivi a maglia di 10 m dove si sono piantumati alberi autoctoni di diverse specie.”

Mara ha fatto studi artistici, dichiara di non essere una “vera conoscitrice del riso e dell’ambiente” ma di provarci. Lei va in giro con la sua macchina fotografica, intercetta i cambiamenti e li fotografa prendendo appunti con il suo taccuino. Quando torna a casa condivide il tutto con la sua squadra e insieme ragionano sul da farsi.

E proprio dall’osservazione era nata la tecnica di “pacciamatura verde” che era stata sperimentata da papà Fulvio che oggi è stata messa a punto dalla squadra di Una Garlanda. In autunno si seminano i prati con leguminose e graminacee, in primavera, quando queste piante crescono, si semina il riso.  A questo punto il prato viene schiacciato e trinciato e si fa scorrere l’acqua dalle camere delle risaie che decompone i residui del prato. Questa tecnica consente di creare naturalmente il nutrimento per le giovani piantine del riso. Tutto è naturale, non servono ovviamente fertilizzanti ma neanche concimi di origine animale, e i risultati sono eccellenti.

“Ogni volta che osservo il fiore del riso mi stupisco di quanto sia preciso – afferma Mara – nelle forme armoniche, nei tempi – le glumelle si aprono solamente in certe condizioni di temperatura e umidità nelle ore allo zenit della giornata – nella funzione autonoma di moltiplicarsi… la natura è precisa, ma ci sono evoluzioni e imprevisti e bisogna saperli fronteggiare, magari grazie a nuove tecniche moderne ma anche con il buon senso, un po’ come quello che usavano abitualmente i nostri bisnonni.”

Per Mara l’agricoltura è un mondo che non finisce mai di stupire e che continua a dare spunti e la biodiversità è il valore portante di ogni scelta. Una biodiversità che vuol dire sempre qualità ma anche produttività.

“In questa avventura, fatta di esperimenti e tentavi, da qualche anno non siamo più soli. ISPRA e ARPA ci hanno coinvolto in uno studio iniziato 4 anni fa che sta valutando il ruolo di micro e macro invertebrati per la biodiversità in un ambiente paludoso e chiaccherando con i ricercatori abbiamo scoperto che una tra le più rare farfalle europee, la Lycaena dispar, apprezza il nostro habitat e si riproduce tra le nostre risaie. Una conferma che c’è tanto da scoprire e tanto da fare per recuperare il nostro ambiente.

“Inoltre a giorni sarà annunciata la creazione di un’associazione di aziende agricole chiamato “Consorzio Polyculturae”, di cui Una Garland è uno dei soci fondatori, che si avvarrà anche della collaborazione di prestigiosi ricercatori universitari. L’obiettivo è favorire la tutela della biodiversità e degli agro-ecosistemi. Polyculturae fornirà un marchio collettivo di sistema e non di prodotto, attraverso una valutazione fito-sociologica dell’ambiente di coltivazione. Di anno in anno la certificazione valuterà l’evoluzione dinamica dell’ecosistema, a seconda della maggiore o minore presenza di erbe spontanee, cespugli, arbusti, alberi e poi insetti e vertebrati presenti nelle aziende consorziate…”

E anche di questo nuovo consorzio e dei suoi obiettivi si parlerà il prossimo 31 marzo nelle sale del castello di Rovasenda in occasione del 16° convegno: “Il riso: alimento fondamentale per la salute umana” organizzato come ogni anno dall’Associazione UPM con collaborazioni e patrocini di Ente Nazionale Risi, Università ed Enti pubblici. Un appuntamento imperdibile per gli addetti ai lavori, ma anche per i cultori di questo alimento, prezioso compagno, da sempre, della nostra vita e del nostro benessere.

Alessandra Apicella

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